Foto: Barellieri americani durante la battaglia del fiume Gari, trasportano i feriti nelle retrovie. Gennaio 1944.
Iconografia storica a cura di Associazione Linea Gustav.
Fonte: National Archives Washington D.C.
Nel gennaio del 1944, in poco meno di 48 ore, due reggimenti della guardia nazionale texana, la 36a Divisione di Fanteria, vengono letteralmente decimati, essi sostengono quasi 1700 perdite tra dispersi, morti e feriti. “The bloody river”, sarà immediatamente ribattezzato il fiume Gari, erroneamente confuse con il Rapido dai militari e dagli storici angloamericani, anche per via delle sue acque veloci, gelide e profonde. Esse non danno scampo ai soldati lanciati in quella che lo stesso Gen. Walker, comandante della divisione, considera una missione impossibile. Nei dopoguerra Mark Clark, generale formatosi presso la prestigiosa accademia militare di West Point, e comandante della V Armata Americana di istanza a Cassino, verrà trascinato al Congresso dai superstiti e dai suoi stessi ufficiali, a rispondere di pesanti accuse su una “strage annunciata”. Il morale degli uomini è ai minimi storici dall’inizio della Campagna d’Italia, le condizioni metereologiche rendono impossibili progressi significativi, se non nel settore montano a nord/nord-est di Cassino, tra Terelle e Caira, dove unità americane e francesi riescono a creare, in tempi diversi, una testa di ponte e a gettare le basi per avvicinarsi al Sacro Monte, ottenendo una flessione della linea tedesca del fronte. Ma tutto sembra cristallizzato e il fantasma della disfatta continua ad aleggiare sulle teste delle gerarchie alleate. Sotto pressanti richieste da parte neozelandese, il Generale Harold Alexander, comandante dei 15° Gruppo d’Armate Alleate nel Mediterraneo, acconsente a un massiccio bombardamento dell’Abbazia di Montecassino. l’attacco viene preannunciato da centinaia di volantini che sono lanciati con l’obiettivo di esortare i civili a lasciare il monastero. Mail breve preavviso di sole 24 ore non lascia loro scampo. 15 febbraio 1944,dalle ore 9:45 le prime ondate di fortezze volanti, partite dalle basi dell’Italia Meridionale, sganciano centinaia di tonnellate di bombe incendiarie ed esplosive sulla verticale della millenaria Abbazia. Al suo interno sono rifugiati 12 monaci e oltre 1000 civili, molti i bambini ma nessun tedesco. Sotto gli occhi esultanti dei militari alleati, e quelli increduli dei soldati germanici, si consuma la più disumana e infruttuosa operazione militare alleata, uno spettacolo raccapricciante che – al di la delle più rosee previsioni – trasforma il monastero in una fortezza difensiva inespugnabile, e che i paracadutisti tedeschi, dislocati nelle sue immediate vicinanze, non perdono tempo a occupare. L’Abbazia resterà nelle loro mani fino alla caduta della Linea Gustav.